The Paradox of Ostheopaty

The Paradox of Ostheopaty

IL PARADOSSO DELL'OSTEOPATIA di JOEL D. HOWELL

traduzione e considerazioni finali di Fabrizio Adorno, D.O.

 

Nella primavera del 1864, Andrew Taylor Still, un medico rurale del Kansas, assistette impotente al fallimento delle migliori medicine all'epoca disponibili, che non riuscirono a salvare la vita dei suoi tre bambini, colpiti da meningite spinale. Amaramente disilluso dalla terapia ufficiale, Still decise di sviluppare una metodologia di cura alternativa.

Al termine della sua elaborazione, sviluppò un sistema basato sul concetto che la manipolazione del rachide poteva migliorare il flusso sanguigno, e che tramite questo, potesse essere aumentato, fino alla guarigione, il potenziale di autoguarigione di un organismo.

La sua filosofia terapeutica conteneva anche una sana dose di moralismo; ai suoi pazienti proibiva infatti il consumo di alcool e di qualsiasi medicinale, manifestazione chiara della sua rottura con il sistema allopatico. Still fondò una scuola, per insegnare gli elementi della Osteopatia, nel 1892, in Missouri, a Kirksville.

L'osteopatia non fu però, l'unico sistema di manipolazione del rachide inventato alla fine del 19simo secolo. La Chiropratica, definita nel 1895 da Daniel David Palmer, si poneva l'obiettivo di liberare la mobilità delle radici nervose e le ostruzioni dei vasi sanguigni.

Osteopatia e Chiropratica, inizialmente, condivisero alcune caratteristiche. Entrambe nacquero mentre il popolo americano sceglieva un modello di cura della salute fra quelli disponibili. Entrambe furono modelli terapeutici autoctoni, proposti quasi contemporaneamente da carismatici uomini del Midwest. Entrambe i metodi furono preferiti, dagli abitanti del midwest, ai sistemi di cura riduzionistici, derivati dai modelli Europei, basati sulle evidenze di laboratorio; modelli imposti fortemente sulla costa est, e presto divenuti lo standard imperante dell'epoca, negli Stati Uniti d'America.

Nel corso del 20simo secolo infatti, la medicina allopatica ha dominato il panorama della Salute in America (e non solo). La chiropratica e l'osteopatia, inizialmente facenti parte di questo sistema terapeutico pluralistico, hanno preso indirizzi molto diversi. I chiropratici sono in linea di massima rimasti focalizzati sull'utilizzo delle manipolazioni del rachide, con indicazioni molto precise, in particolare rivolte a quelle condizioni cliniche resistenti alla allopatia, come il mal di schiena. Gli osteopati, dal canto loro, si sono impegnati nell'impiego dell'armamentario terapeutico del medico moderno, e così facendo si sono avvicinati molto all'allopatia.

Il moto verso l'assimilazione divenne esplicito negli anni '60, quando la California Medical Association e la California Osteopathic Association si fusero, momento definito in seguito come l'ora più oscura della professione osteopatica. Frequentando un seminario breve e pagando 65 dollari, un D.O. Poteva ottenere una laurea in medicina; l'86% dgli osteopati dello stato (su un totale di 2000 iscritti) fece questa scelta. Il Collegio dei Medici e Chirurghi Osteopatici divenne l'Università del Collegio di Medicina della California. Molti osteopati temettero che la fusione californiana fosse "l'onda lunga" del futuro e che la professione non sarebbe sopravvissuta. Non fu così, ed anzi, probabilmente ne è uscita rafforzata. Oggi, i D.O. Sono autorizzati in tutti i 50 stati americani a prescrivere farmaci, far nascere bambini, praticare la chirurgia – in breve, a fare i medici.

Nonostante il riconoscimento nazionale però, l'osteopatia è ancora un fenomeno regionale, più o meno come al momento della propria nascita.

Il rapporto fra il numero di osteopati e di popolazione varia da 3 a 7.7% nelle regioni dell'ovest, contro una percentuale del 20.4% nel midwest; 8.5% nel sud, 18.3% nel nordest del Continente nordamericano. I laureati in medicina mostrano le stesse percentuali di distribuzione.

L'Osteopatia fu originariamente creata come una alternativa radicale a quello che era considerato un sistema terapeutico fallimentare. Il suo avvicinamento alla tradizione allopatica avrà probabilmente una conseguenza, cioè la perdita di identità. Molte persone oggi, compresi i medici, sanno molto poco del suo campo operativo (mentre molti conoscono le specificità della chiropratica). Molte persone, osteopati compresi, si chiedono cosa possa offrire di diverso (l'osteopatia) dalla medicina ufficiale.

Chi sostiene la specificità del sistema osteopatico, lo fa sulla base di due principi fondanti.

Il primo è l'approccio olistico, o centrato sul paziente, con una particolare attenzione alla prevenzione, che caratterizzerebbe l'osteopatia. Ma questa pretesa di unicità è difficile da sostenere, specialmente alla luce del crescente interesse di interi settori della medicina allopatica verso la prevenzione.

Il secondo principio di specificità, forse più sostenibile, è basato sull'utilizzo della manualità osteopatica come parte fondante dell'approccio terapeutico. Nella manipolazione osteopatica, ossa, muscoli ed articolazioni vengono manipolati per ottimizzare la circolazione sanguigna attraverso i tessuti e di conseguenza potenziare le proprietà auto-terapeutiche dell'organismo. Le tecniche, basate sul concetto di continuità miofasciale, che implica la connessione di ogni parte del corpo con il tutto, necessitano de "l'abilità e l'efficacia nell'uso delle mani" per trattare quella che veniva definita inizialmente "lesione osteopatica", e che oggi è chiamata disfunzione somatica. La manipolazione osteopatica non è ben conosciuta (o praticata) dai medici allopatici, ma per decenni è stata considerata il "core" del metodo terapeutico osteopatico.

In questo numero del Journal, Andersson et al.paragonano la manipolazione osteopatica del rachide, che è una metodologia della medicina manuale osteopatica, a terapie standardizzate per la cura del mal di schiena. I pazienti sono stati assegnati in modo casuale a due gruppi, il primo dei quali prevedeva la somministrazione di terapie standard (72 paz), mentre il secondo includeva trattamenti manipolativi (83 paz). Venivano valutati, con una serie di misurazioni, il dolore, l'abilità funzionale e la soddisfazione del paziente. Dopo dodici settimane, risultava un netto miglioramento in entrambe i gruppi, e non si registravano differenze significative in nessuna delle misurazioni principali. Tuttavia, il gruppo ricevente terapie standard aveva utilizzato in maniera ovviamente superiore molti più farmaci e terapie strumentali. Cosa che dimostra una maggiore parsimonia, da parte dei medici osteopati, nell'utilizzo della tecnologia medica. Perciò, essi riescono a fornire ai loro pazienti cure mediche con un buon rapporto costi-benefici ed a ridurre l'uso di farmaci dagli incerti e pericolosi effetti collaterali. Il meccanismo fisiologico che può essere all'origine dei miglioramenti del paziente nel trattamento osteopatico non è chiaro, perciò sarebbe auspicabile che in questo campo venissero effettuate ricerche volte a chiarire come le tecniche esplichino i loro effetti nella pratica clinica.

Parte del successo dell'intervento terapeutico osteopatico nel mal di schiena probabilmente deriva dal fatto che il medico, semplicemente, tocca il paziente.

La terapia manuale osteopatica viene ritenuta utile in una vasta serie di impieghi terapeutici, dalla pancreatite alla sindrome parkinsoniana, alla sinusite, all'asma. I più noti osteopati sostengono che la terapia manuale deve far parte di quasi tutte le consulenze mediche osteopatiche. L'ultimo presidente della American Osteopathic Association ha dichiarato di "rivolgersi alla manipolazione osteopatica prima di considerare qualunque altro tipo di intervento terapeutico", e che il 90% dei suoi pazienti ottengono miglioramenti con la sola manipolazione.

Alcune affermazioni però sottolineano il serrato dibattito interno al mondo osteopatico ed una disconnessione fra la teoria e la pratica.

Un sondaggio del 1995 somministrato a 1055 medici osteopati riporta che l'utilizzo della terapia manuale è occasionale; solamente il 6.2% dichiara di utilizzarla con più della metà dei propri pazienti. Il 30% dichiara di utilizzarla in meno del 5 per cento dei casi.

Più è recente il conseguimento della laurea in osteopatia, minore è l'utilizzo della terapia manuale nella pratica clinica quotidiana, cosa che depone a favore della progressiva assimilazione dell'osteopatia alla medicina allopatica. Il crollo dell'utilizzo della terapia manuale potrebbe anche testimoniare il fatto che chi si avvicina alle scuole di medicina osteopatica non lo fa per un profondo coinvolgimento nella filosofia osteopatica, ma per il fallimento del proprio tentativo di accesso alle scuole di medicina allopatica. Sembrano essere più facili da reperire medici osteopati impegnati in religioni fondamentaliste che colleghi impegnati in manipolazioni osteopatiche. Tuttavia, con o senza terapia manuale, la medicina osteopatica sembra conoscere un momento di incremento senza precedenti. Mentre il numero di università di medicina classiche è rimasto stabile fin dal 1980, a 125, quello delle università di medicina osteopatica è passato da 14 a 19. Il numero di laureati in medicina allopatica è passato da 15135 nel 1980 a 15923 nel 1997, mentre quello di laureati in medicina osteopatica è raddoppiato nello stesso periodo, passando da 1509 a 2009. ......(omissis).........Alla fine del secolo, l'osteopatia continua la sua difficile danza con la medicina allopatica, ma solo uno dei due partner danza con attenzione. L'aumento notevole del numero di osteopati non deve ingannare sulla precaria situazione dell'osteopatia. Alla sua nascita, l'osteopatia era un concetto radicale, che rigettava molti dei principi vecchi e nuovi dell'allopatia. Oggi, la medicina osteopatica si è molto avvicinata alla tradizione allopatica, al punto che non è più considerata una medicina alternativa. La sopravvivenza nel lungo periodo dipenderà dall'abilità della medicina osteopatica di definirsi e distinguersi dalla medicina allopatica. Questa distinzione dovrà essere giustificata non in termini teoretici, ma in termini di trattamenti con risultati dimostrabili. Il paradosso è il seguente: se l'osteopatia è diventata l'equivalente funzionale della medicina allopatica, cosa giustifica la sua esistenza? E se esiste una validità nella terapia osteopatica, cioè basata sulle manipolazioni osteopatiche o più in generale sulla terapia manuale, perchè questa dovrebbe essere riservata agli osteopati?

Joel D.Dowell, M.D., Ph.D.

University of Michigan

Nov. 1999 – The New England Journal of Medicine

Questo fondamentale articolo di J.D. Dowell, scritto all'inizio del millennio, ha impietosamente fatto luce, non senza una certa dose di sarcasmo, sulla situazione in cui si trova l'Osteopatia nel Nuovo Continente.

Tra le righe, il dott. Dowell riconosce implicitamente alla medicina osteopatica la validità del suo impianto metodologico, basato sulle conoscenze anatomo-fisiologiche e sull'approccio olistico, presenti almeno nell'Osteopatia delle origini, cioè in quella diffusa da Still e dai suoi allievi diretti.

In effetti, l'auspicio finale contenuto nelle sue riflessioni è quello che l'Osteopatia riesca nel suo intento iniziale, quello cioè di porsi come modello alternativo di terapia, rispetto alla medicina allopatica.

Il metodo proposto, però, è quello della validazione scientifica dei risultati. Cioè quello della efficacia e della ripetibilità; in una parola, lo stesso metodo di misura utilizzato dalla medicina allopatica, che si rivolge alla cura del Sintomo. Ora, pur riconoscendo la indubbia utilità di questo Sistema terapeutico, che nel corso degli ultimi quattro secoli ha permesso di salvare innumerevoli vite umane, o almeno di prolungarne l'esistenza in maniera percentualmente rilevante, il problema fondamentale che si pone, nell'analisi dell'efficacia dell'Osteopatia, riguarda proprio il fatto che il metodo della validazione scientifica NON è applicabile alle terapie osteopatiche.

E' una pretesa impossibile da soddisfare, quella che chiede di dimostrare una efficacia statisticamente rilevante ad una specifica tecnica HVLA, per esempio, su un dato sintomo, proprio perchè quella tecnica, scelta dall'osteopata in quel momento, per quel sintomo, ma soprattutto per quel paziente, potrebbe non essere ripetibile in un momento diverso, di fronte allo stesso sintomo ed allo stesso paziente; così come potrebbe essere impossibile o inutile proporla ad un paziente diverso.

L'osteopata infatti decide il suo intervento incrociando i dati anamnestici con l'esame obiettivo e con la diagnosi differenziale; ma soprattutto, la scelta della tecnica manuale da applicare è guidata dall'obiettivo principale, che non è quello di risolvere una sintomatologia specifica, ma di sostenere e rinforzare le capacità di autoguarigione di quel paziente, in quel momento, con quel sintomo.

Prova evidente di quanto affermato, è il fatto che il processo di guarigione, spesso, inizia nello studio osteopatico, ma si completa autonomamente nei giorni successivi all'intervento terapeutico, con uno spettro di variabilità individuale estremamente ampio.

L'Osteopatia insomma, di fronte ad una manifestazione disfunzionale che può essere molto simile in soggetti diversi, esplica la sua efficacia in modi e tempi che possono essere, invece, completamente diversi, perchè assolutamente individualizzati. Ed è proprio in questa diversità che manifesta le sue caratteristiche di terapia olistica, quindi non standardizzabile.

Oggi, anche nel nostro Paese, stiamo assistendo al tentativo di mettere mano alle normative che regolano le Professioni sanitarie, includendo, non è ancora chiaro a quali condizioni, anche l'Osteopatia fra le discipline che si occupano di Salute, umana ed animale. Esigenza giustificabile, se si considera che oggi, la percentuale di persone che si rivolgono ad un osteopata per la cura della propria salute è aumentata, rispetto a qualche anno fa, in maniera esponenziale, evidentemente in base proprio a quella "efficacia" che Dowell chiede di dimostrare a posteriori.

Il rischio che corre la Medicina manuale osteopatica in Italia, oggi, è lo stesso corso negli anni '60 del secolo scorso in U.S.A., e molto probabilmente l'esito sarà lo stesso. Quello, cioè, di diventare una "riserva di caccia" per le figure professionali sanitarie attualmente in essere, le quali però non saranno in grado di apprezzarne le potenzialità, a causa della loro forma mentis, per la quale ciò che non è dimostrabile non esiste; od, in alternativa, quello di essere tacciata di mancanza di "scientificità" e perdere, con questa etichetta, la dignità di Arte terapeutica. Dove Arte è intesa come attività, tipicamente umana, di produzione di un risultato, intellettuale o fisico (o entrambe), che poggia su accorgimenti tecnici, abilità innate o acquisite e norme comportamentali derivanti dallo studio e dall'esperienza.

Perchè, non dimentichiamolo, anche la Medicina allopatica, per quanti sforzi produca nel tentativo di rendere oggettivabile la propria materia, è un'Arte.

Date

22 Ottobre 2016

Tags

OSTEOPATA