Bambini, adolescenti e sport

Bambini, adolescenti e sport

INTRO 
Tre ragazzi in tuta e scarpe da ginnastica corrono a perdifiato verso un muro alto due metri, sembra che non si rendano conto di essere troppo veloci, sembra che l'impatto dei loro corpi sul cemento sia ormai inevitabile, quando improvvisamente, in modo quasi simultaneo, eccoli compiere un balzo, appoggiare un piede sulla parete liscia come se galleggiassero in aria, afferrare con le mani il bordo del muro, e superarlo di slancio, per riprendere immediatamente la corsa. Sono parkurers, i praticanti di una disciplina acrobatica (il parkour, appunto) nata nelle banlieu parigine, inizialmente, è presumibile, come tecnica di fuga durante le retate della polizia, ma ben presto sviluppata, codificata e dotata perfino di un impianto filosofico, alla base del quale sta la rivendicazione di un dominio fisico del tessuto architettonico urbano. La città, con i suoi balconi, transenne, tetti, muri di cinta, lampioni, diventa palestra, giungla artificiale in cui aggirarsi come novelli Tarzan, per riconquistare quel diritto alla libertà di movimento negato dal traffico sempre più caotico, dalla progressiva riduzione delle aree verdi, così come dalla rigorosità delle regole sportive. Sia detto per inciso, la scena descritta poco più su ha come location l'area dell'ex zoo veronese, non i vicoli di New York, a dimostrazione del fatto che ogni forma di protezionismo e di localismo, anche e soprattutto culturali, per quanto animata dalle migliori intenzioni è inevitabilmente destinata a sgretolarsi sotto la spinta della diffusione delle comunicazioni: il mondo respira ormai tutto allo stesso ritmo, e stare in apnea non è certo il modo migliore di rallentarlo. Il movimento è vita. Dall'organismo monocellulare più semplice alla complessa struttura umana, dall'alternanza di vuoto ed energia delle particelle a quella di vuoto e materia delle galassie, ovunque si posi il nostro sguardo, questo assunto apparentemente banale viene costantemente confermato dall'osservazione. Perfino il pensiero, quanto di apparentemente meno dotato di fisicità siamo in grado di concepire nel nostro universo, può essere considerato, sotto il profilo bioelettrico o biochimico ad esempio, movimento costante (di energia). Ma se diamo per assodato che la vita si manifesta attraverso il movimento, quali vogliamo che siano i principi ispiratori dell'attività fisica dei nostri figli, oggi? La Pedagogia di qualunque cultura e di ogni tempo ha sempre assegnato allo sviluppo fisico armonioso un ruolo di primaria importanza, sia dal punto di vista sociale che da quello individuale, nella crescita personale. A seconda del tempo e del luogo, assumevano importanza diversa gli aspetti sociopolitici, come la necessità di formare un popolo di guerrieri o di lavoratori, o quelli individuali, caratterizzati da connotati salutistici (attività fisica intesa come igiene individuale) o relazionali (ne è esempio la differenziazione sessuale delle attività motorie di non molti anni fa, laddove il Maschio sviluppava la Forza, mentre la Femmina la Grazia). Qualunque sia il fine sotteso all'educazione, lo sviluppo motorio dell'individuo è sempre considerato un fondamento della formazione umana, oggi come nel passato più remoto. O no...?!? 

Alcuni dati: Da uno studio effettuato in Emilia Romagna nel 2010, emerge che, a fronte di un 47% degli adolescenti che fa sport regolarmente, c'è un 53% che non pratica attività motoria con regolarità. Inoltre, solo il 15% degli intervistati ha l'abitudine di andare a scuola a piedi o in bici, il 37% prende i mezzi pubblici ed il 31% viene accompagnato a scuola in auto. Il 64% degli intervistati passa 3 ore o più davanti alla Tv, mentre il 30% trascorre 3 ore al computer. (Fonte: Centri Famiglia Emilia Romagna, 2011) Un recente studio inglese ha confrontato i risultati di alcuni test sulla forza muscolare eseguiti su un campione significativo di bambini e bambine della scuola elementare, con gli stessi test somministrati a coetanei/e dieci anni fa. Il risultato emerso mostra una diminuzione media della forza pari al 25% nella nuova generazione! (Fonte: RAI, Costume e società, maggio 2011) Dodici milioni di italiani (20% della popolazione) fanno sport in maniera continuativa, tra cui 3 milioni di giovani di età compresa fra 6 e 18 anni. Due terzi dei giovani fra 11 e 14 anni praticano sport una o più volte la settimana. Gli italiani che non praticano alcuna attività fisica sono 23 milioni (Fonte: ISTAT, 2005)

Negli ultimi quindici anni, in Italia abbiamo assistito ad una enorme crescita di attenzione sul tema dell'attività motoria vista come elemento imprescindibile della salute. Si sono moltiplicati gli studi medico-scientifici sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari, sulla lotta all'obesità, al diabete, più in generale sulle nefaste conseguenze della sedentarietà; sono stati investiti capitali in campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sull'importanza di una vita attiva. Parallelamente, l'offerta di sport-per-tutti ha preso forma con il decuplicarsi di Enti, Associazioni, Centri pubblici e privati dedicati alla promozione della pratica sportiva in tutte le età della vita. Questo trend è in linea con gli orientamenti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, che individua nelle conseguenze della sedentarietà (sempre più precoce) la maggiore responsabile dell'aumento dei costi sanitari nelle società occidentali. Il motivo per cui si è posto l'accento sulla necessità di praticare più sport è dovuto a vari fattori. Innanzitutto, la trasformazione di una moltitudine di sedentari in una di sportivi implicava la creazione di un mercato di consumatori di vastissime proporzioni (cosa che infatti non è sfuggita all'imprenditoria mondiale), con il corollario di attrezzature, tecniche, spazi dedicati e flusso di denaro conseguente. Un bisogno primario, quindi, come quello del movimento, è stato preso in carico dal mercato, con l'obiettivo (parzialmennte riuscito, in effetti) di soddisfarlo. Oggi infatti, un adulto-consumatore-sportivo (od ex sedentario) ha a sua disposizione un intero mondo di opportunità, commisurate alle sue capacità economiche, per poter placare la sua fame di sport, abilmente e, per una volta, giustamente stuzzicata da medici e imprenditori. Un altro fattore è stato la constatazione del fatto che le possibilità di movimento spontaneo all'aperto, che fino a pochi decenni fa erano ampiamente garantite, si sono drasticamente ridotte, sia per la diminuzione di spazi liberi dal traffico, sia per la generica percezione di pericolosità che emana dalle piazze e dalle strade delle nostre città, percezione sicuramente ampliata dall'influenza dei media. Lo sport, quindi, con la sua sottintesa necessità di spazi idonei (e perciò protetti), è parso sempre più la soluzione ideale al problema ipocinetico, soprattutto nel momento in cui i destinatari della soluzione erano bambini e ragazzi. 

Lo sport fa parte di quegli elementi fondamentali necessari al sano sviluppo di bambine e bambini, tanto da essere stato riconosciuto dalle Nazioni Unite come diritto fondamentale. Secondo l'art.31 della Convenzione sui diritti dell'infanzia: "Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo ed al tempo libero, a dedicarsi al gioco ed alle attività ricreative proprie della sua età, ed a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica......" Sebbene lo sport non sia citato espressamente, la dottrina ha specificato successivamente il significato dei singoli termini Riposo sottintende la necessità di rilassarsi mentalmente e fisicamente, nonchè di dormire Svago è termine dal significato più ampio, che si riferisce alla libertà di fare ciò che si desidera Attività ricreative abbraccia la gamma di azioni svolte per libera scelta, il cui scopo è il piacere ed il divertimento: lo sport, le arti creative, i passatempi di carattere scientifico, tecnico, artigianale, agricolo Gioco include tutte le attività che non sono controllate dagli adulti e che non richiedono il rispetto di regole precise (Fonte: www.unicef.it)

GIOCO O SPORT? Le cifre però parlano chiaro: l'applicazione del modello sportivo ai bambini ed ai ragazzi delle nostre città si è dimostrato fallimentare. Se è vero, infatti, che lo sport ha un valore socializzante così elevato, perchè i nostri figli passano così tanto tempo davanti agli schermi della tv o del computer? Se è vero che lo sport è educativo, perchè mio nipote quindicenne, "scherzando", mi dice che il bello del calcio è entrare a gamba tesa sul ginocchio dell'avversario (certo, una rondine non fa primavera, ma ne è un'avvisaglia precisa)? Se è vero che lo sport è fisicamente formativo, perchè mediamente i figli della nostra generazione sono meno agili, meno abili, meno forti rispetto alle generazioni precedenti? Le responsabilità di questo bilancio non lusinghiero non sono certamente da addebitare allo sport in quanto tale, nè alla buona volontà dei genitori, spesso trasformati in tassisti per garantire la possibilità della pratica sportiva, e nemmeno alle capacità tecniche ed educative degli operatori sportivi, che sono generalmente aumentate proprio in virtù dell'avvicinamento tra mondo scientifico e sport. L'avvicinamento alla pratica sportiva avviene mediamente intorno ai 5 o 6 anni, poichè a questa età il bambino ha raggiunto il grado di sviluppo e di coordinazione necessari per apprendere le tecniche sportive di base (imparare ad andare in bicicletta, a sciare, a pattinare e purtroppo a giocare a calcio). Nel periodo che va da 5 a 11 anni, le capacità di coordinazione motoria, come equilibrio, agilità, ritmo, presentano il massimo potenziale di sviluppo; in seguito diventano un patrimonio acquisito e difficilmente migliorabile. Ecco perchè, pur con differenti punti di vista, tutti gli studiosi dell'argomento sono concordi sulla necessità di variare il più possibile l'apprendimento motorio, consigliando la pratica di molte discipline sportive, praticate senza ( o non soltanto con) spirito agonistico, ma con il fine di imparare ad interagire con l'altro nel rispetto delle regole, ad affrontare e risolvere situazioni impreviste, a superare i propri limiti, a "mettersi in gioco" assumendo un ruolo, ad esporsi alla possibilità di commettere errori, ad essere riconosciuti nel gruppo prendendo coscienza della propria unicità. Lo sport, fino all'età di 11/12 anni, dovrebbe essere e restare gioco, con tutte le sue componenti di gratuità, di libertà regolata, di gioiosità. Perchè il gioco, specialmente in questa età, è una componente fondamentale dello sviluppo umano, e non solo corporeo, di un individuo. In realtà, questi principi trovano difficile applicazione nel nostro mondo (sportivo), fondato su un modello prestazionale che è più teso alla scoperta di nuovi talenti (quante volte si sentono manager sportivi che parlano di "prodotto" riferendosi ad un giovane e promettente atleta?) che non all'educazione degli uomini e cittadini di domani. In questo contesto, che snatura profondamente la valenza formativa dello sport, è noramle aspettarsi, come infatti avviene, un rifiuto da parte delle giovani generazioni, del modello proposto, senza alcun filtro critico, dai mezzi di comunicazione, e che spesso rappresenta le peggiori deviazioni della società: violenza, individualismo, ricorso al doping, mercificazione di sè. Quale attività quindi proporremo ai nostri figli, per non far perdere loro la splendida occasione educativa che lo sport contiene potenzialmente? Fino a dodici anni, le attività proposte dovrebbero garantire la massima libertà (variabilità) di espressione motoria e relazionale. L'offerta formativa dovrebbe dare ampio spazio al gioco libero, destrutturato, mentre dovrebbe evitare il tecnicismo esasperato. Ben vengano, quindi, situazioni in cui sia possibile praticare più attività contemporaneamente, di squadra ed individuali, meglio se all'aria aperta, senza differenziazioni fra sport "da maschi" e sport "da femmine". Per manifestare i suoi effetti positivi, l'"esposizione" a questa forma di attività motoria dovrebbe essere giornaliera. E' evidente che le caratteristiche fin qui evidenziate si potrebbero espletare al meglio se fosse la Scuola a farsi carico di questo tipo di proposta formativa, come avviene in altri paesi europei. Da noi, invece, si tagliano le ore di educazione fisica. Dopo i dodici anni, cioè dopo che nella sperimentazione di sè si è evidenziata una maggiore abilità specifica, un "talento" individuale, sarà possibile favorire una specializzazione in un determinato sport, sicuri del fatto che questa scelta non sarà limitante, ma permetterà all'atleta-uomo di esprimere le proprie potenzialità nel modo più ampio. Lo sport agonistico quindi, può avere un senso solo se è preceduto da una formazione dell'individuo, sotto il profilo motorio, ma soprattutto dal punto di vista della crescita e consolidamento di valori "sani" che, prima che un atleta, ne facciano un Uomo.

Date

22 Ottobre 2016

Tags

BAMBINI, SPORT